giovedì 28 aprile 2011

Toiano della Brota: il Borgo Fantasma

Toiano delle Brota: Il borgo fantasma
La Toscana è famosa nel mondo per il bassorilievo di morbide colline che ne ricamano per intero il paesaggio.
Alla sommità di quasi ognuna di esse, abbarbicati come aquile sul nido, una miriade di borghi più o meno grandi, castelli, monasteri, talvolta vere e proprie città.
Tutti ormai ben curati, elegantemente conservati, invitanti, accoglienti.
Tutti, o meglio, quasi tutti.
Uno di questi borghi, vera e propria Cenerentola della conservazione urbanistica moderna, non ha trattorie, non ha alberghi né negozi, banche, uffici, lampioni, acqua potabile.
Non ha neppure abitanti, Toiano delle Brota, antichissimo castello al centro della Valdera ha un’unica via, via del Castello appunto, lunga 50 metri e fiancheggiata ai lati da due file di case. Ha una chiesa sconsacrata e un piccolo cimitero, quello ancora curato dai parenti di coloro che da Toiano non hanno voluto allontanarsi. (…).
Il panorama che si gode dalla terrazza esposta a Sud, in direzione Volterra è magnifico.
(…) A destra e a sinistra della strada che conduce al borgo, come guglie di un’antica cattedrale gotica si ergono speroni di tufo alti anche 40- 50 metri.
Sono i famosi “Calanchi”: terra grigio-ocra, nuda e secca, erosa da secoli di piogge e vento, impossibile da coltivare e quindi lasciata lì, a modellare un paesaggio che, specialmente in inverno, assume i contorni di una cornice da Purgatorio dantesco.
Eppure, una volta parcheggiata l’auto, si ha la sensazione di trovarsi in un piccolo paradiso: silenzioso, sereno, rigoglioso di vegetazione spontanea e punteggiato da antichi alberi da frutto piantati chissà quando e chissà da chi. (…).
Di fronte, lontano, un altro imponente sperone tufaceo fa emergere, galleggiante fra le onde di un mare di basse colline, le mura e le torri di Volterra.

Toiano ha raggiunto il suo massimo splendore nell’800, quando oltre 500 persone vi abitavano stabilmente. (…).
Se vi andrà di raggiungere l’antico borgo di Toiano delle Brota, siamo certi che quel borgo, lontano com’è dalle maggiori vie di comunicazione, isolato dal mondo, fatto in parte di case in parte ancora sane e in parte semidistrutte dal tempo e dall’incuria, tappezzate alle pareti da calendari degli anni ’50 e odoranti – ancora oggi – di una forte e fiera atmosfera contadina, vi resterà nel cuore. (…).
Tutto ciò che ho scritto è vero, a parte un punto.
Un abitante a Toiano c’è: Giovanni Cerasoli un quarantenne toscano che di professione fa il sommozzatore lavorando nei porti di mezzo mondo.
Ha scelto di vivere qui come un moderno Robinson Crusoe scommettendo sul futuro di questo piccolo gioiello di Toscana. Chissà se qualcuno non decida di affiancarlo in questa scommessa.
Da: “Slowtuscany” – Damiano Andreini – Ed. Intermezzi.

Naturalmente a Toiano non manca il fantasma.
Una storia che parte da una tragica vicenda realmente accaduta.. Nel prossimo post..

martedì 26 aprile 2011

Percorso Etrusco: Tra Palaia e Montopoli

Tra Palaia e Montopoli
 • percorso etrusco: Marti- Usigliano di Palaia- Pieve di S. Martino-Palaia. Lunghezza: 5 Km.

Ci troviamo ancora nel territorio compreso fra Firenze e Pisa. Qui possiamo seguire un percorso etrusco a piedi (5km), visitare i vari borghi e campagne che qui di seguito illustriamo brevemente, soggiornare in un rilassante agriturismo o in un hotel in stile oppure anche nel vicino campeggio
1^ tappa
Ecco un’altra tappa che il viaggiatore più curioso apprezzerà senza dubbio: Montopoli Val D’Arno.
L’origine antichissima è testimoniata dai reperti etruschi e romani che ancora oggi vengono scoperti. Fu definita da Boccaccia “castello insigne” per le sue possenti fortificazioni.

Ci affidiamo alla nostra guida. Anche qui ci facciamo accompagnare da una guida locale. Un vero esperto della storia, dell’arte e delle curiosità della zona.
Possiamo ripercorrere la storia dagli etruschi ai romani, dal medioevo e via avanti fino ai giorni nostri.
Degne di nota sono le terrecotte di Montopoli. Uniche nella decorazione e nella lavorazione. Purtroppo la lavorazione originaria non è più permessa poiché prevedeva l’uso di materiali oggi considerati tossici. Poche persone conoscono ormai i segreti di questa antica arte perduta. Oggi vengono comunque prodotte con procedure moderne e molto somiglianti alle originali.
I montopolesi che hanno ereditato dei “pezzi” originali possono ritenersi fortunati per il loro valore.
Nel museo civico si può comunque ammirarne una collezione.
Altri luoghi interessanti illustrati dalla guida: La Torre di San Matteo, l’Arco di Castruccio, la Rocca, il Muro dei Sottofossi
Per il pranzo e la cena  ci possono essere diverse possibilità ma consigliamo una ricetta Medioevale nello storico ristorante del paese.
Il nostro cuoco ha accuratamente studiato, selezionato e realizzato ricette esattamente rispondenti all’epoca medioevale per utilizzo di ingredienti e modalità di cucina.. Se siete fortunati potete trovare dei servitori in costume originale.. ma non è detto che vi vengano fornite le posate..
2^ tappa
Partiamo alla scoperta della campagna e dei boghi vicini.
Incontriamo la nostra guida.
Facciamo una breve sosta a Usigliano dove possiamo ammirare una magnifica villa padronale

e proseguiamo verso il sito etrusco della Montacchita. Qui abbiamo la possibilità di avere a nostra disposizione un archeologo del gruppo che proprio in questi giorni sta scavando un nuovo sito.. si parla di una capanna di epoca villanoviana.. speriamo di poterla vedere al più presto possibile.
Per chi ne vuol sapere di più:
Gli Etruschi della Valdera. Forme dell'insediamento fra VII e VI sec. a.C.
a cura di G. Ciampoltrini
Felici Editore
Arriviamo quindi a Palaia
Molto probabilmente il territorio di Palaia fu abitato già in epoca etrusca, ma i documenti esistenti
si riferiscono all’Alto Medioevo allorché fu un importante castello comprensivo di due parti distinte: la rocca e il borgo
A Palaia sono numerose le bellezze architettoniche, basti pensare
alla magnifica Pieve di San Martino, monumento nazionale del XIII secolo, edificata su progetto di Andrea Pisano, in stile tardo romanico con elementi gotici in laterizi e pietre.

Va ricordata inoltre
la chiesa di Sant’Andrea del XIII secolo con la facciata e il campanile in stile romanico; al suo interno presenta un crocifisso di scuola fiorentina trecentesca, una Madonna col Bambino di Scuola Pisana del XIV secolo e un dossale in terracotta invetriata attribuito ad Andrea Della Robbia.
Sempre a Palaia è presente la duecentesca chiesa di Santa Maria, sempre in cotto, che si affaccia sulla piazza del paese.
Posiamo ritornare a Montopoli per la cena e il pernottamento e, magari, continuare la nostra visita ancora il giorno dopo
E se volete fare un salto nel tempo di 50 anni indietro, vi consiglio il Bar del Giannini. Da non perdere e un ponce come lo fa lui è unico! Da provare!
3^ tappa
A San Gervasio si trova la pieve omonima un tempo fra le chiese più prestigiose del territorio Toiano, Villa Saletta, alternati a belle e imponenti ville padronali come quella Agostini di Colleoli, quella di Usigliano del Vescovo…
E non mancano anche in questa zona storie, leggende e curiosità: il borgo fantasma, la storia della bella Elvira, i calanchi.. nei prossimi post qualche informazione in più

sabato 23 aprile 2011

La Schiacciata di Pasqua

Schiacciata di Pasqua - Ricetta e Tradizione
La trovate solo da noi e solo nel periodo di Pasqua...siccome la ricetta non è per niente  facile, bensì lunga e complicata, MA il risultato è strepitoso....NON VI RESTA CHE VENIRE NEI NOSTRI LUGHI PER DELIZIARVENE!
...In ogni caso, per i più avventurieri ai fornelli, se siete bravi...(ma bravi eh! ) ed avete tanta pazienza, provateci, ne varrà la pena! Buona fortuna!
....e Buona Pasqua a tutti voi!
Tratto da: EnogastronomiaPisa
La Schiacciata di Pasqua è  tipica della tradizione gastronomica pasquale della Toscana, ed è un dolce povero della cucina contadina e della provincia di Pisa, in particolare delle zone di Fucecchio e San Miniato.

Le origini della schiacciata di Pasqua
La Schiacciata di Pasqua nasce nella seconda metà dell'Ottocento dall'idea delle famiglie contadine, per usare la gran quantità di uova del periodo pasquale  per fare un dolce, che servisse a festeggiare la Pasqua.
La schiacciata veniva preparata nel periodo della Quaresima e fino alla Pasqua di Rose (Pentecoste), quando non c'era molto altro da mangiare. Un vero e proprio pan dolce preparato con la pasta di pane arricchita di uova, zucchero e aromi.

La tipicità é data dal tipo di lavorazione e dalla fermentazione naturale che avveniva  grazie al calore che emanavano una volta i grandi bracieri, con cui anche si cucinava.

Un vecchio documento racconta…

Ogni famiglia la confezionava nella propria casa. Quando la pasta era pronta veniva sistemata nelle teglie di rame. Con i grumi di pasta rimasti le mamme preparavano il "corollo", una ciambella che veniva posta sopra un pezzo di carta oleata. Le teglie con le schiacciate e il corollo venivano messi a lievitare nella madia. La lievitazione però si rivelava sempre molto problematica. E siccome le schiacciate venivano preparate dopo la cena dovevamo vegliarle per vedere se lievitavano. Stabilivamo dei turni. Se a mezzanotte la pasta non si era mossa dovevamo farle fare i fumacchi: mettevamo dentro la madia alcune pentole di acqua bollente e affidavamo al loro vapore acqueo il miracolo della lievitazione. Se il miracolo non avveniva portavamo le schiacciate in "cardana" (un pertugio sopra il fondo) verso le sei di mattina. Al fornaio […] portavamo anche un uovo con il quale doveva spennellare la superficie delle schiacciate prima di metterle in forno. 
Caratteristiche della Schiacciata di Pasqua
La particolarità di questo dolce sta ancora nel processo di lievitazione naturale che avviene in tre fasi "ritoccando" l'impasto, cioè aggiungendovi in due volte gli ingredienti e grazie al calore sprigionato nella classica madia dai vecchi bracieri, utilizzati in quei tempi anche per scaldarsi.
Il procedimento è piuttosto lungo e delicato; la buona riuscita dipende in larga parte dalla lievitazione che permette alla schiacciata di divenire soffice e leggera. Tutto il processo deve essere svolto in un luogo molto caldo e umido, privo di correnti d'aria o di sbalzi di temperatura.
Dolce, oltre che sublime al palato, assolutamente equilibrato con pochi grassi e non moltissime calorie. Ha la forma del panettone ma il sapore è molto più delicato con una dolcezza non troppo spiccata.
La Schiacciata è ottima accompagnata con il vin Santo, con la cioccolata delle uova di Pasqua per la merenda, ma perfetta anche inzuppata nel latte, o nel tè, per la prima colazione.
Ricetta della Schiacciata di Pasqua
Ingredienti:
per 3 schiacciate da 1 Kg ciascuna:
•Farina 1500 g
•Zucchero 500 g
•Burro 250 g
•Olio extravergine di oliva toscano 50 g
•Uova 8 (5 intere, 3 tuorli e 3 chiare per spennellare da mettere da parte)
•Lievito di birra 85 g
•Anici 45 g
•Vin Santo metà bicchierino da liquore
•Liquore tipo Sambuca, Strega o Rosolio di menta 1 bicchierino
•Sale 5g
•Miele 1 cucchiaio
•1 arancio e 1 limone
Tempo di preparazione e cottura: 18 h circa, dipende dai tempi di lievitazione
Preparazione
1° lievito o lievitino bianco
Sciogliete 85 gr. di lievito in una tazza da circa125 g riempita di acqua o latte tiepidi e lavoratelo con circa 150 g circa di farina di grano tenero tipo "0". Lasciate lievitare finché non forma tante bollicine e comunque raddoppia di volume, coperto con un panno al caldo in una madia (circa 20 minuti), utilizzando una pentola di acqua calda per infondere il calore necessario.
Mettete gli anici ad ammorbidire nel succo di arancia e limone con la buccia grattugiata di entrambi e 1 cucchiaio di zucchero semolato (in sostituzione si può utilizzare l'essenza di anici).

2° lavorazione o primo ritocco (dopo circa 20 minuti)
Unite al lievitino metà di tutti gli ingredienti: 750 g di farina, 2 uova intere e 2 tuorli, 250 g di zucchero, 125 g di burro leggermente ammorbidito, 25 g di olio extravergine di oliva, 22 g di anici, ½ Vin Santo e Sambuca, un pizzico di sale, miele, ½ arancia e ½ limone grattugiati.
Lavorate a mano o con l'impastatrice finché l'impasto non diventa setoso ed omogeneo. La consistenza è morbida. A questo punto mettere a lievitare in forno al minimo (min. 30/40°).
I tempi di levitazione non sono misurabili esattamente, dipende molto dalla temperatura del forno. La lievitazione è ottimale quando il composto diventa tremolante tipo un budino (dopo circa 1 ora/1 ora e ½).
3° lavorazione o secondo ritocco (dopo circa 1h-1h e ½)
Unite il resto degli ingredienti e impastate come nella fase precedente. Questa lievitazione viene fatta nelle teglie (3 da 18 cm di diametro) dove poi avverrà la cottura. Quindi prendete l'impasto, versatelo su una base di marmo unta di olio, dividete l'impasto in tre e disponetelo nelle teglie unte con strutto di maiale. Rimettete a lievitare come al solito nel forno.
Questa è la parte più delicata perché se non lievitano correttamente il risultato sarà compromesso.
Al temine della lievitazione, dopo circa 3 ore, estraete le teglie dal forno, mettete un pentolino con acqua e portate il forno a 160° circa.
Spennellate le schiacciate con le chiare d'uovo messe da parte e mettetele ancora in forno per circa 50 minuti a 160° circa. A cottura ultimata, lasciatele riposare 10/15 minuti, quindi estraetele e disponetele su un tagliere di legno finché non freddano, poi riporle in un sacchetto di naylon.
Si mantengono molto bene per tutta la settimana di Quaresima

venerdì 22 aprile 2011

Gostanza la strega di San Miniato



Gostanza: La strega di San Miniato

Vorrei introdurvi la storia di una donna vissuta circa 500 anni fa in un paese della Toscana  a metà strada fra Firenze e Pisa. Una donna non più giovane, ne ricca, visto che si guadagnava da vivere facendo la levatrice; se fosse bella, questo è un dato che il Tribunale della Santa Inquisizione non registrò..
Nel 1594, nel castello di Lari, vicino a Pisa, due donne e due uomini, di fronte ad un notaio e al vicario del Vescovo di Lucca, accusano Gostanza da Libbiano di aver provocato la  morte di alcuni bambini per mezzo di pratiche stregoniche; Gostanza, interrogata al processo che si svolse a San Miniato, ammette di aver usato alcuni unguenti e di aver posto sulle partorienti una candelain segno di buon augurio, ma nega di aver causato la  morte dei neonati.
Da lì a pochi giorni però la testimonianza di un’altra donna aggrava la posizione di Gostanza, e l’inquisitore la sottopone alla tortura della fune. Appesa ad una corda che le strazia le braccia, Gostanza ammette di aver provocato malefici ai danni di diverse persone. Nei giorni successivi, ogni volta che la tortura si ripete, la povera donna, disperata all’idea di nuove torture, incrementa la dose delle sue confessioni. Arriva persino ad ammettere di avere rapporti ravvicinati con svariati demoni, di assumere la forma di un gatto nero per succhiare il sangue dei bambini, per rubare le ostie consacrate per friggerle in padella e offrirle in sacrificio a “Polletto”, il demone con il quale ha periodici rapporti carnali.
Gostanza è praticamente ad un passo dal rogo quando, il 19 novembre dello stesso anno al processo interviene un nuovo inquisitore fiorentino, Dionigi da Costacciaro: uomo di solida cultura, si accorge che le confessioni di Gostanza sono piene di luoghi comuni, ingenui elementi di un repertorio di immagini alla portata di tutti, e decide di tenerla in carcere ancora alcuni giorni interrompendo la tortura. L’inquisitore la interroga altre volte. Il 24 novembre, infine, Dionigi chiede a Gostanza se voglia ancora confermare ogni cosa: la vedova esausta, spiega che è tutto falso e di aver raccontato quelle cose per la paura della fune. Il 28 novembre il processo si chiude con l’assoluzione di Gostanza che viene riconosciuta innocente, ma l’inquisitore intima la donna di non usare più pozioni terapeutiche e di trovarsi una casa in un’altra città.
Alla fine, nel giudizio di Gostanza, prevalse il buon senso, ma questa vicenda, tra le molte altre simili che gli archivi ci tramandano, si svolse nel periodo più virulento della “caccia alle streghe” e purtroppo, non tutte le presunte “streghe” poterono contare sulla lungimiranza di un inquisitore come il nostro Dionigi.
La tortura era ritenuta uno strumento d’indagine eticamente corretto, e gli stessi elementi che fecero scagionare Gostanza furono sufficienti a condannare altre donne al rogo.

Recentemente è stato girato un film su Gostanza e sulla sua storia di “strega per forza”. “Gostanza da Libbiano”. La regia è di Paolo Benvenuti e il film è interamente girato nella zona di San Miniato.
Volendo poi approfondire, esiste anche un libro che offre anche risvolti interessanti dal punto di vista antropologico. Edito da Laterza “Gostanza: la strega di San Miniato: Processo ad una guaritrice nella Toscana medicea”
(Slowtuscany - Damiano Andreini - Intermezzi editore)

Parlando di Gostanza abbiamo citato anche il Castello di Lari. Di questo e della sua storia vi parliamo la prossima volta.

Uova al Tegamino con Tartufo Bianco

Uova al Tegamino al tartufo Bianco
Questa invece è la ricetta che gli intenditori del Tartufo amano di più.
Il tartufo e le uova: la morte sua!
Come tutti i migliori piatti della cucina italiana, ha una ricetta semplicissima….basta che gli ingredienti siano di ottima qualità
Ingredienti della ricetta:
2 uova ( anche di quaglia se vi piacciono! )
1 noce di burro
tartufo bianco
sale
Ricetta Uova al tartufo:
Mettere in una terrina ( se le avete di coccio, dove si può cuocere, meglio! ) il burro e farlo soffriggere. Quando assume un leggero color nocciola, togliere dal fuoco.  Rompere  le due uova, salale e, sulle uova, tagliare un sottile strato di scaglie di tartufo bianco ( più ne mettete meglio è ! ) Rimettere la terrina un attimo ancora sul fuoco e servile immediatamente.  GNAM!!

Risotto al Tartufo Bianco

Risotto al Tartufo Bianco
Per gli amanti del Risotto ecco la ricetta del Risotto al Tartufo…..ribadisco che per una buona riuscita il Tartufo deve essere Bianco , che  costa molto ma ne vale veramente la pena, è l’unico che vi da la certezza di una riuscita eccezionale, dal sapore indimenticabile !
Ingredienti per 4 persone:
Riso 300 gr
Burro 120 gr
Cipolla
Parmigiano Reggiano 80 gr
Brodo di carne 0,7 lt
Vino Bianco 1/2 bicchiere
Tartufo Bianco fresco 50-70 grammi
Olio d’oliva
Preparazione Risotto al Tartufo Bianco:
Mettete in una padella capiente la cipolla tritata finemente con metà del burro e fate soffriggere senza far dorare. Aggiungete il riso e un un po di brodo e mescolate di continuo continuando quando necessario ( man mano che ritira ) a versare il brodo (bollente naturalmente), mescolate sempre fino ad arrivare al punto che sia evaporato tutto il brodo e la cottura sia quasi ultimata. Ora togliete dal fuoco e condite il riso con il burro rimasto, con metà del tartufo bianco affettato il più finemente possibile, e con il parmigiano reggiano, quindi versate mezzo bicchiere di vino bianco e seguitate la cottura facendo evaporare il vino e mescolando continuamente, ora servite nei piatti e dopo aver tagliato il restante tartufo a fettine sempre sottilissime decorate i piatti, il risotto al tartufo bianco è pronto!!!!!! Buon appetito !!!!!!

Ricetta Tagliolini al Tartufo ...Bianco di San Miniato eh!

Tagliolini tartufo

Un piatto prelibato, la ricetta è semplicissima ma il suo successo avviene esclusivamente se il tartufo è di qualità ottima ( altrimenti rischiate di spendere molto e  di mettere in tavola poco più che un piatto di pasta che sa di olio e formaggio ) …ed il tartufo più pregiato è quello BIANCO ( che si trova a San Miniato! ), con un odore ed un sapore assolutamente squisiti , deve essere “fresco” , non conservato, ed il nostro tartufo, il più buono di tutti,  va cercato nei mesi che vanno da Settembre a Gennaio.
Ingredienti:
Pasta  all' uovo 500 gr
Burro 100 gr
Parmigiano Reggiano 70 gr
Tartufo q.b.
sale
olio d'oliva
Preparazione Tagliolini al Tartufo:
Per prima cosa,  si deve pulire, minuziosamente, il tartufo dai residui di terra con una spazzolina morbida. Pulito il tartufo, mettete a bollire l'acqua per la cottura,  nel frattempo fate  il burro a pezzettini e grattate il parmigiano reggiano; a questo punto mettete in una padella un filo d'olio d' oliva ( buono eh! ) e il burro e fate sciogliere. Quando la pasta sta per finire la cottura,  grattugiate ( finemente o a scaglie, come si preferisce ).Scolate la pasta e versatela nella padella quindi saltarla aggiungendo il tartufo, amalgamate per un minuto girando bene e infine aggiungete il parmigiano reggiano, i tagliolini al tartufo sono pronti!! Serviteli con un bel sorriso!

mercoledì 20 aprile 2011

il Tartufo Bianco di San Miniato: la sua antica storia e le sue streghe


Esiste un cibo che nel corso dei secoli è stato talmente demonizzato che per qualche tempo fu proibito dalle autorità ecclesiastiche.

Il suo odore e il suo sapore sono stati accostati a quelli del diavolo o delle streghe che lo evocavano. 

Dalla forma simile agli escrementi e dal profumo acuto era il cibo preferito da porci e cinghiali.

Il tartufo può essere amato alla follia o può essere rifiutato con disprezzo  ma non può essere ignorato

Il tartufo richiama subito la piemontese Alba e l’umbra Norcia, ma, un terzo della produzione italiana di questo prezioso tubero, pochi lo immaginano, viene dalla Toscana e in particolare dalla zona di San Miniato.

Come nasca, dove nasca e come si produca è un enigma.

Tutti i tentativi di provare a riportarlo in forma artigianale o industriale sono falliti.
Il tartufo va cercato, annusando il terreno fra i lecci, salici, tigli, pioppi, noccioli e querce.
E non ci sono boschi più ricchi di questa vegetazione di quelli intorno a San Miniato.

Qui si può trovare, oltre alla trifola nera, e al tartufo nero, che sono due specie diverse, anche il superbo “Tuber Magnatum Pico” (con riferimento al grande Pico della Mirandola, che tra un libro e l’altro lo amava oltre ogni misura), più noto come Tartufo Bianco.
Lo stesso che il più grande cuoco dell’umanità, il famoso Apicio di tempi di Traiano, nel “De re coquinaria”, diceva che rendesse il cibo imperiale.

Ma se il faraone Cheope lo amava a tal punto da farselo inserire tra gli arredi funebri immerso nel grasso d’oca e se nell’antica Atene si organizzavano attorno ad esso gare culinarie, nel Medioevo fu invece inserito tra i cibi del Demonio.

E guarda caso, furono in particolare le donne ad essere inquisite, torturate e bruciate qualora
fossero state trovate in possesso di questo tubero.
Vedove e zitelle che non potevano esercitare alcun lavoro ed erano destinate a morire di fame, potevano solo procurarsi cibo andando per i boschi a raccogliere erbe commestibili.
Erano chiamate “Dominae Herbarum” , le signore delle erbe, delle quali alcune volte scoprivano proprietà medicamentose.
E se qualcuna di loro aveva come unica ricchezza un maiale da portare in giro, al vederlo raspare e scavare affannosamente e mangiare con gusto questa leccornia, ci si può immaginare come apparisse irrinunciabile saziarsi di qualcosa che avesse un sapore.

Ed ecco quindi Sant’Agostino d’Ippona infierire e dire che il saziarsi scaccia la castità e aggiungere che la fame è amica della verginità e nemica della lussuria.
La fame, mi dispiace contraddire Sant’Agostino d’Ippona, dottore della chiesa, non è amica di nessuno.
Bastava l’alito che sapesse di tartufo, a volte, alle donne di San Miniato e dintorni, per essere messe a morte.
Magari più che per salvare la loro anima, per impadronirsi del maiale.
La natura lussuriosa del tartufo è confermata più tardi quando ormai l’oscurantismo è passato e il Rinascimento vede il trionfo della carne, solo per i nobili e i ricchi, beninteso.

Il medico Baldassarre Pisanelli, nel suo “Trattato della natura de cibi e del bere” (A.D. 1583) sentenzia che il tartufo aumenta lo sperma e l’appetito del coito.
Il modo in cui è considerato il tartufo può rappresentare la differenza fra il Medioevo e il Rinascimento.
Non si perseguita più la donna che lo coglie, anzi glielo si offre per ottenerne le grazie, come anticipava il Petrarca quando diceva con malizia e doppi sensi, a proposito del tartufo che “dentro dove giammai non sii aggiorna/ gravida fa di sé il terrestre umore”

Offrire un tartufo alla propria donna è come offrirle un brillante, il costo è più o meno simile, se si tratta del bianco (sia del brillante che del tartufo)

Oggi si può andare a San Minaito nella seconda metà di Novembre, dove il nero si può acquistare anche senza fare un mutuo.
E anche a Marzo per la sagra, appunto, del marzuolo, che sta a metà, per prezzo e prelibatezza, tra il bianco e il nero.
Da Giungo a Dicembre si può invece tentare la fortuna andando per i boschi, meglio con un cane addestrato che con un maiale.
Attenzione però alle streghe del luogo quando si coglie il tubero, occorre fare un giretto su se stessi, cos’ dicono i vecchi di quaggiù, e offrirlo a quelle donne o streghe del passato.
Se resta in mano vuol dire che sono già sazie, ma se sparisce, meglio fuggire, potrebbero aver voglia di finire il pasto accompagnando al tartufo qualche pezzo di carne umana
Da “La Toscana misteriosa” di C. A. Martigli


Ma delle streghe parliamo la prossima volta

SAN MINIATO tra Storia, Leggende, Colline, Tartufo


Intermezzi d’autore
Lasciamo Firenze e, dirigendosi verso Pisa entriamo nell’altra Toscana, quella sconosciuta, quella dei toscani, dove troviamo piccoli e preziosi borghi adagiati su dolci colline. Gioielli di cultura e arte. Dove incontriamo gente franca e aperta, ma sobria e orgogliosa come chi è convinto che la nascita lo abbia privilegiato.

1
Arriviamo a San Miniato. Città di origini longobarde con importanti testimonianze medioevali e rinascimentali.
Incontriamo la nostra guida.
Una guida d’eccezione. Una persona del luogo. Appassionato e innamorato della sua terra. Una delle poche persone che conosce ogni angolo, ogni storia, ogni leggenda e curiosità del luogo.
Camminando per le vie del paese ci conduce alla Rocca. Il custode ci attende e salendo fino alla sommità si può godere di un panorama mozzafiato, come se tutta la Toscana fosse ai tuoi piedi. Nelle giornate più terze si arriva a vedere persino il mare.
Si scende per la visita del Duomo, del Palazzo Bonaparte, palazzo del Seminario
La nostra guida intanto ci avrà raccontato del Castello che sorgeva su questa collina, delle peripezie di Federico II, della nascita della Contessa Matilde.
Ci fermiamo in uno storico locale del paese per un pranzo con vista sulle campagne sottostanti.
Proseguiamo quindi con la visita
Complesso di San Domenico, Palazzo Formichini, la via dei Carbonai, la via Angelica
Si può scegliere di alloggiare in un affascinante agriturismo, in un comodo hotel o anche in un grazioso affittacamere.
Cena e pernottamento
2.
Incontriamo la nostra guida e dedichiamo la giornata alla scoperta dei luoghi più belli e interessanti dal punto di vista storico, culturale e naturalistico
Si può scegliere di
Percorrere un breve itinerario a piedi
Collelungo- La Pina- Doccia - Barbinaia - la Casetta- la Tomba - Balconevisi, sito longobardo di antico castello con villa medicea. Lunghezza: 7 Km.
Un percorso fra le Pievi
S. Miniato - S. Stefano in Orlo, con visita agli scavi del Castello e alle tombe etrusche. Da lì a piedi per S. Giulia- Castellare-Coaino, sulla via Francigena dove si possono visitare la villa e la pieve di S. Pietro e Paolo del 990 - Gello- S. Giovanni ( pieve e villa) -Le Monache- Vallacchi- Terralba- Colle (sito di un antico castello) - Montoderi (chiesino di S. Giusto) - Collegalli (bellissima la villa costruita su di un antico castello dei Conti di Collegalli). Lunghezza: 17 Km.



Un percorso fra i Castelli
da Palagio, trasferimento ad Agliati e poi partenza a piedi per i Castelli di Cumoli- Collelungo- Il Cavalletto- Sciolla- Cambiati- Barbinaia (resti di un’antica pieve romanica del VI-VII secolo)- Bucciano (sito di un antico castello con villa rinascimentale. Assolutamente da vedere la chiesa di S. Regolo, risalente all’anno 1000). -Il Masso- Pierino- Il Pulpito- Montalbano- Croce di Bucciano- La Palazzina- S. Pietro-S. Biagio- Montebicchieri (dove si può visitare il castello e la chiesa di S. Lucia dell’anno 1000). Lunghezza: 15 Km
Un breve percorso sulla via Francigena
Calenzano- S. Quintino- Baccanella-Poggio Barco - Campriano- Meleto ( straordinaria la villa rinascimentale appartenuta ai Conti Ridolfi). Lunghezza: 6 Km.



3.
San Miniato è patria del Tartufo bianco
Perché non scoprire i segreti della ricerca con un esperto tartufaio e il suo cane?
E’ un’esperienza unica. Non è stato facile convincerli a mostrare i loro luoghi “d’azione” ma alla fine hanno accettato. Vi sveleranno qualche segreto del mestiere.. non tutti!!
Pranzo
Nel pomeriggio ci possiamo concedere una passeggiata a cavallo nelle campagne sottostanti
Ecco.. dopo questa immersione nell’altra Toscana, avrete avuto l’impressione di aver rallentato il ritmo della vostra vita..
Seguiteci ancora, vi racconteremo le leggende, le curiosità, la vita, il cibo di questo piccolo meraviglioso angolo toscano.....